martedì 29 settembre 2015

Ai fratelli, a tutte le sorelle



Pagina tratta da In mezzo alla fiaba Topipittori


Tra le fiabe che volevo ascoltare e riascoltare, c’erano Pollicino e Hansel e Gretel. In entrambe la fame e la decisione di abbandonare i bambini nel bosco. E non è cosa che si possa addomesticare nella lettura. Via i bambini. Si può fare, si fa.
Quanto sollievo però non essere soli in quell'abbandono. Un’emozione ancora più forte in Hansel e Gretel che mi permetteva di vedere due figure stagliarsi nella notte, questa coppia, non uno più uno ma il contrario di uno, il numero minimo per fronteggiare il buio del bosco. Quattro occhi, quattro piedi, due mani strette, una soluzione in tasca. E, nel fallimento delle briciole, la consolazione e la forza di essere insieme.
Tutto il resto, la casa, lo zucchero, la strega, la gabbia, l’ossicino, il forno, è un gioco rispetto a quell’incedere notturno. A tutti servirebbe un fratello, u
no che non si smarchi come Caino («Sono forse io il custode di mio fratello?»). Con questa idea, forte del mio camminare a fianco di un fratello maggiore, ho scritto questa poesia.


Oggi questo mi fa pensare anche ad altro. Sempre di più. Che un fratello per esempio servirebbe alle spose bambine. 

Secondo i dati diffusi dalla “conference on child marriage” organizzata dalle Nazioni Unite, ogni anno circa 15 milioni di bambine vengono costrette a sposarsi o vendute a scopo di matrimonio.
C’è un bosco più nero, più tetro dell’essere cedute ancora bambine? Di rischiare la vita per abusi, malattie e parti precoci, dell’essere condannate allo sfruttamento, del trovarsi sempre in pericolo e senza nessun aiuto?
Certo, serve per prima cosa affrancare le famiglie dalla fame e dalla povertà, permettere e sostenere l’istruzione delle bambine come insegna Malala, ma più di tutto servirebbe un fratello. Servirebbe un’educazione, una visione che permetta ai maschi di considerare donne e bambine non più come oggetti, creature subordinate, pesi o scarti, cose da barattare, usare. Servirebbe un fratello che interrompa la catena dell’abbandono dei grandi, che cammini a fianco, che consideri alla pari la propria sorella e ogni donna.
L’aiuto più urgente per le spose bambine è il più complesso perché chiama in causa i maschi, chiede loro di prendere parola, raccogliere sassi, trovare strade e soluzioni.
Servirebbe davvero un fratello.
Eccolo nella notte nera splendere bianco come il sassolino che ha in tasca.
Arianna Vairo, autrice di questa immagine, sembra dirci che dal bosco scuro si esce insieme, maschi e femmine, guardando nella stessa direzione.



lunedì 14 settembre 2015

Una torre, una chiave



Nello scrivere In mezzo alla fiaba mi ero data un limite stretto. Un testo a fiaba. Questo voleva dire toccare pochi aspetti sceltissimi. Il criterio è stato quello dell'urgenza. Ho scritto ascoltando ciò che emergeva con più forza dalla memoria.
Per Raperonzolo a presentarsi è stata la torre. Senza porte né scale. Un tempo sospeso, prima dell'inizio, una giovane donna chiusa nella torre da un'altra donna.



Mi sono chiesta più volte perché questo simbolo fosse tanto importante per me da essere rimasto intatto. Poi, prima dell'estate, ho incontrato le parole illuminani di Massimo Recalcati nel suo libro Le mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno (Feltrinelli).

"Mentre l'eredità paterna si snoda attraverso un processo di identificazione idealizzante del figlio al padre, quella materna sembra arrestarsi di fronte all'impossibilità di trasmettere che cosa sia una vera donna.  Se la soluzione edipica nell'uomo sfocia nel rafforzamento dell'identificazione al padre e nella sostituzione metaforica della madre con un'altra donna, la donna resta invece una delle incarnazioni più forti, anarchiche, erratiche, senza divisa, impossibile da governare e da misurare, dell'alterità dell'Altro.
...
L'inesistenza di un'essenza universale della donna - lo affermava con forza Lacan: "La Donna non esiste, esistono solo le donne" - inchioda la figlia alla madre come luogo originario dover poter reperire i sembianti necessari per costituirsi come una donna. Il problema è che questa identificazione può strutturarsi solo e sempre parzialmente, proprio perchè la Donna in senso universale non esiste, ma ciascuna, una per una, deve trovare la propria risposta all'enigma del desiderio femminile.
...
La figlia esige dalla madre la chiave per accedere alla femminilità, ma la madre, ogni madre, manca di questa chiave. La soluzione dell'enigma della femminilità è sempre senza modelli, singolare, antiuniversale, particolarissima."

Forse la torre di Raperonzolo è senza porte né scale, senza serrature né chiavi, semplicemente perché la chiave non c'è.


Invece ci sono i capelli. Un simbolo potente dell'energia vitale e della femminilità. Raperonzolo nella torre cresce, cambia. Tutto sembra uguale e bloccato nel tempo tranne i capelli.
Nella mia poesia ho voluto che sembrassero disciplinati ma che in realtà tramassero una fuga, quella della scoperta.
Ricordo un'intervista di Franco Battiato in cui parlando della sessualità citò una frase attribuita a Rābiʿa al-ʿAdawiyya al-Qaysiyya una mistica araba musulmana vissuta nell'VIII secolo, la più venerata donna sufi, che paragonava la sessualità al fumo che, per quanto tu possa chiudere le porte, passerà attraverso le fessure.
I capelli di Raperonzolo nell'immagine di Arianna Vairo sono diventati scale.
Raperonzolo è una bellissima figura che si staglia nuda, che guarda in faccia la luna mentre una corrente di polveri luminose le unisce.
Sembra tentare di carpire da quella falce sottile qualche segreto che la riguardi.
Forse è quello che non è riuscita a sapere dalla madre.

 


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